Raffaele Caracciolo “Pezzi di ricambio rigenerati? Fate molta attenzione”
Di Alessandra Schofield
Raffaele Caracciolo, ex responsabile Auto Adiconsum, responsabile Automotive Unione Nazionale Consumatori ed esperto Konsumer, spiega perché un’automobile non può essere considerata un bene come un altro ed il lavoro che viene fatto in ambito consumeristico per tradurre i principi del Codice del Consumo nel settore della compravendita automobilistica. E regala utili consigli ai Konsumeristi che si trovassero a dover riparare la propria autovettura.
Cosa significa coniugare il termine Automotive – strettamente legato all’industria automobilistica – con l’attività delle associazioni consumeristiche?
Il Codice del Consumo costituisce un insieme di principi riferiti ai beni di consumo in generale, ma non parla specificatamente di automobili, che invece è un settore merceologico con caratteristiche molto specifiche. Non solo perché – come è evidente a chiunque – un’auto, rispetto ad una lavatrice, ha caratteristiche molto diverse; ma soprattutto perché presenta una variabile importante che dipende non solo da quanto viene usata ma anche da come viene usata. Il nostro lavoro, quindi, è calare il Codice del Consumo nel settore Auto ed abbiamo sviluppato una serie di parametri e concetti oggettivi per permetterne l’applicazione dei principi, in particolare per quanto riguarda le autovetture usate.
Può farci un esempio?
Certamente. L’art. 128.3 del Codice dice chiaramente che nell’applicazione della garanzia di conformità per i beni usati si ha riguardo al pregresso utilizzo. Ma occorre stabilire un criterio oggettivo di definizione del pregresso utilizzo, altrimenti la norma perde la sua efficacia a tutela dei diritti del consumatore. Per questo motivo, nel 2013 abbiamo creato una specifica norma di applicazione del Codice del Consumo al mercato dell’auto che introduce criteri oggettivi per permetterne la concreta applicazione e sta dando risultati rimarchevoli. Siamo molto soddisfatti: ad oggi sono stati venduti oltre 50.000 veicoli accompagnati dalla “dichiarazione di conformità” da noi prevista, ovvero una proiezione di ciò che l’acquirente potrà ragionevolmente aspettarsi che accada alla vettura fino ai quattro anni successivi all’acquisto sulla base della percorrenza annuale che dichiara di fare. Questo è il punto di partenza ed il primo scoglio superato, e corrisponde ad una precisa richiesta del Codice del Consumo, che pretende la consapevolezza dell’acquirente. La norma che abbiamo elaborato fa quindi emergere l’uso atteso del veicolo come elemento contrattuale, traslando nel settore della compravendita auto quello che il Codice chiama l’“uso normale della cosa”, che è diverso da persona a persona: evidentemente, se compriamo una vettura, tanto più se usata, il fatto di farci 10.000 o 30.000 km l’anno fa differenza rilevante. Si tratta di un grosso contributo alla chiarezza. E questo modello predittivo è possibile grazie al fatto che le automobili, sotto il cofano (e quindi al di là del brand), sono assolutamente paragonabili.
Ma come… e il mito della superiorità di certe case automobilistiche?
È ormai tramontato definitivamente: non c’è nessuna differenza sostanziale, in termini di cicli di vita, tra una vettura di una marca ed un’altra della stessa tipologia ma di altro brand, perché il processo di produzione di un’automobile non è più un processo di trasformazione di materie prime. Una volta tutto l’intero processo di realizzazione di una vettura avveniva all’interno dello stabilimento; oggi si tratta solo di un processo di integrazione di sottosistemi prodotti altrove. Ogni casa automobilistica, quindi, finisce per utilizzare la stessa meccanica indipendentemente dal marchio sotto il quale i veicoli vengono venduti. Ecco perché oggi è stato possibile determinare uno standard dei cicli di vita dei sotto sistemi sul quale basare questo modello predittivo, che permette di definire con certezza se un evento sia o meno un difetto di conformità ed in effetti funziona alla grande, riducendo tra l’altro il contenzioso praticamente a zero. Pensi che, invece, tradizionalmente sul mercato dell’usato su circa il 36% dei veicoli venduti nascono reclami dei quali un terzo si trasforma in contenziosi che si concludono in tribunale. Il modello predittivo ci permette di definire con certezza se un certo evento sia o meno un difetto di conformità.
Parliamo ora di ricambi. Quanto conta l’attenzione nella scelta del pezzo utilizzato per la riparazione?
Moltissimo. Anzi, è il punto fondamentale. In realtà, ciò su cui bisogna focalizzarsi è l’adeguatezza della riparazione al bisogno del cliente. L’officina deve informare con completezza il consumatore sui dettagli e sui costi della riparazione e proporre le varie tipologie di ricambio. Poi spetta al cliente optare per questo o quel pezzo, in base alle sue considerazioni e alle informazioni che avrà, fermo restando che l’officina è comunque impegnata a garantire la riparazione per due anni e quindi ne risponderà qualora il pezzo dovesse avere una durata inferiore. In realtà, quindi, le officine oggi non hanno interesse a trovare scorciatoie, perché ne sconterebbero le conseguenze. Ciò detto, la dizione “ricambio originale”, nella vulgata, è equivoca. Il Regolamento Europeo 1400/2002 (poi diventato 461/2010, noto come Direttiva Monti), sebbene contenga dei grossi errori, sul piano formale dà delle definizioni precise. Il ricambio può essere “della casa”, dicitura che indica un codice prodotto del costruttore, fornito in un imballo del costruttore. La definizione di ricambio “originale”, in termini di direttiva, indica invece il ricambio prodotto dal fornitore della casa automobilistica. Non per fare pubblicità, ma per offrire un esempio: la pasticca dei freni Brembo può essere un ricambio “della casa” se fornita in una confezione Fiat col codice Fiat; è invece un ricambio “originale” se fornita in confezione Brembo con codice Brembo. Il terzo livello previsto dal regolamento è il ricambio “di qualità equivalente”, cioè un ricambio fornito da un terzo che non è fornitore della casa, ma che garantisce che il pezzo risponde alle prescrizioni della casa ed è lecito usarlo anche nelle operazioni in garanzia. Sempre per fare un esempio concreto: se compriamo un veicolo nuovo e si rompe l’alternatore, l’officina autorizzata che applica la garanzia non ha l’obbligo di fornirci lo stesso alternatore che avevamo all’origine, ma uno che abbia quelle stesse caratteristiche certificate. Quindi, può essere indifferentemente usato un ricambio con il codice della casa, il codice del fornitore del pezzo o quello di un altro pezzo con qualità equivalente, senza che andare a detrimento della qualità della riparazione.
E per quanto riguarda i pezzi rigenerati?
Ecco, qui si entra in un’area un po’ grigia perché per i pezzi revisionati (o usati revisionati o, appunto, rigenerati) manca il collaudo. Riprendendo l’esempio precedente: l’alternatore si guasta; l’officina lo sostituisce e quel pezzo viene inviato a qualcuno che lo revisiona e lo rimette in circolo. Ma purtroppo chi fa questo mestiere non è in grado di collaudare ciò che ha fatto. È un vuoto normativo, così come quello legato al fatto che le case automobilistiche non forniscono istruzioni o specifiche per consentire il collaudo di un pezzo revisionato. E si tratta di una grossa area di rischio per il consumatore. L’officina può dunque trovare un pezzo revisionato ad un prezzo allettante e lo può montare. Ma lo fa a suo rischio e pericolo, perché comunque deve rispondere della garanzia di quel pezzo (che, in caso di dichiarato utilizzo di un pezzo rigenerato, può essere ridotta a un anno). Concretamente, se l’officina non si preoccupa di darci specifiche informazioni su che pezzo di ricambio ha utilizzato per la nostra riparazione, è impegnata con noi per due anni; se di comune accordo abbiamo scelto di utilizzare un pezzo revisionato, l’officina può propormi di ridurre a 12 mesi la garanzia, e noi possiamo accettare o meno.
Ma lei si sentirebbe di consigliare ad un consumatore l’utilizzo di un pezzo revisionato?
I rischi connessi all’utilizzo di un pezzo usato dipendono dal tipo di pezzo. Se riguarda l’area frenante o lo sterzo, si pone un evidente problema di sicurezza. L’utilizzo di ricambi di origine dubbia o non nota può determinare un risparmio solo apparente, dal momento che un pezzo di qualità scadente può andare soggetto a rotture anticipate e sarà sostituito prima rispetto ad un pezzo migliore. E dovrà, infine, essere smaltito prima; quindi, se vogliamo, anche con una indiretta ripercussione ambientale.
È vero che qualsiasi cosa succeda la responsabilità resta in capo all’officina, ma è altrettanto vero che in macchina giriamo noi. E siamo sicuri di voler davvero risparmiare sulla sicurezza? Comunque, l’officina ha l’obbligo assoluto di fornire una corretta informazione al cliente, altrimenti incappa nella pratica commerciale scorretta sanzionabile dall’Antitrust da 5.000 euro a 5 mln di euro.
Qual è il suo messaggio ai consumatori che si trovino a dover riparare la propria auto?
Esigete di sapere che cosa sarà impiegato nella riparazione. Poi spetta a voi scegliere il compromesso tecnico-economico che vi sembra più giusto, fermo restando che l’officina risponde per un tempo che va dai dodici ai ventiquattro mesi (a seconda che il pezzo da utilizzare sia nuovo o usato). Sui ricambi potete effettuare una certa scelta, ma pretendete una corretta e completa informazione da parte dell’officina prima di fare le vostre valutazioni. Dovete ottenere un preventivo preciso e dettagliato e dovete essere avvisati anticipatamente qualora questo debba essere modificato. Personalmente, consiglio di farvi rilasciare un preventivo (completo di operazioni da effettuare e codici di prodotto che verranno utilizzati) da un’officina autorizzata dalla casa e poi verificare se la vostra officina di fiducia può offrirvi le stesse cose ad un prezzo inferiore.
Cosa possono fare le associazioni dei consumatori?
Purtroppo queste realtà sono percepite dai consumatori come l’avvocato dei poveri, cui ci si rivolge quando si ha un problema che diversamente non si è riusciti a risolvere; mai prima. Questo è il dramma oscuro di tutte le associazioni consumeristiche, costrette ad intervenire sempre a frittata fatta, quando spesso è difficile riparare ed anche risalire all’esatta concatenazione dei fatti e magari si finisce dal giudice sulla base di elementi molto aleatori. Possono, però, fare informazione. Come stiamo facendo noi qui ed ora.