Tutti ne parlano, ma che cos’é il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità)

Mes meccanismo europeo di stabilità konsumer spiega

In questi giorni assistiamo ad un aumento della litigiosità tra Partiti politici, magioranza e minoranza che se ne dicono di tutti i colori ripetendo all’infinito l’acronimo MES. Alla maggioranza dei cittadini, anche a quelli che parteggiano per l’uno o per l’altro partito, se non del tutto, sfugge la vera ed oggettiva procedura di funzionamento di questo meccanismo finanziario. Abbiamo pensato che a molti sarebbe piaciuto saperme di più, magari senza partigianerie, senza strumentalizzazioni. Abbiamo quindi chiesto al nostro Angelo Di Marco, di darcene un’infarinatura che ci permettesse almeno di sapere di che si parla, o su che si litiga. Quella che segue è l’analisi cruda e vera del MES, scritta per essere compresa da tutti, come sempre da un esperto che di questi argomenti ne sia specializzato. A voi farvene l’idea che crediate più convincente.

Il problema economico-politico del Mes

Il dibattito politico di questo ultimo periodo è stato incentrato in particolare sulla valutazione della bozza di riforma del Mes. Il MES sostituisce il Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) e il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (MESF), nati per salvare dall’insolvenza gli stati di Portogallo e Irlanda, investiti dalla crisi economico-finanziaria; una specie di cassa comune per far fronte alle emergenze di cui gli stati possono usufruire in presenza di determinate condizioni. Il MES è attivo da luglio 2012, quindi si tratta di una struttura normativa già esistente.
L’articolo 3 stabilisce che: “il MES può seguire e valutare la situazione macroeconomica e finanziaria dei suoi membri, compresa la sostenibilità del debito pubblico, e analizzare le informazioni e i dati pertinenti”.

E’ su questa frase che in genere sul piano politico si discute nei vari talk show. Ma dal punto di vista tecnico le questioni da approfondire sono molto complesse e sono essenzialmente due.
La prima questione riguarda il meccanismo di accesso al credito del MES. Nell’allegato III della bozza è previsto: “Rispetto dei parametri quantitativi di bilancio. Il membro del MES non deve essere soggetto alla procedura per disavanzo eccessivo e, nei due anni precedenti la richiesta di assistenza finanziaria precauzionale, deve soddisfare i seguenti tre parametri di riferimento:

  1. un disavanzo pubblico al di sotto del 3% del PIL
  2. un saldo di bilancio strutturale delle amministrazioni pubbliche pari o superiore al parametro di riferimento minimo specifico per il paese
  3. un parametro di riferimento del debito costituito da un rapporto debito pubblico/PIL inferiore al 60% ovvero una riduzione del differenziale, rispetto al 60%, a un tasso medio di un ventesimo all’anno nei due anni precedenti.”

In pratica i paesi in difficoltà non avrebbero dovuto essere in difficoltà nei due anni precedenti, in quanto la loro posizione sarebbe stata all’interno dei parametri di Maastricht. Ma è soprattutto il terzo punto che rappresenta un vero ostacolo economico. Facciamo riferimento all’Italia. Il nostro rapporto debito pubblico/pil è di circa 140%, pertanto il differenziale rispetto al 60% è pari all’80%. Quindi nei due anni precedenti la riduzione di 1/20 comporterebbe più o meno un impegno di 19 miliardi il primo anno e di poco meno per il secondo.
Insomma se un paese è in grado di rispettare i parametri di Maastricht non ha necessità di ricorrere al Mes. Infatti ben 10 stati su 19 stati dell’unione non sarebbero in grado di soddisfare i parametri indicati.
La seconda problematica deriva dalle “clausole di azione collettiva”. Tali clausole vennero introdotte dopo il default greco al fine di evitare complessi meccanismi di rinegoziazione derivanti dalla gestione di molteplici assemblee di obbligazionisti tante quante sono le emissioni dello stato. Infatti attualmente è necessaria una votazione con maggioranza qualificata per singola emissione e una votazione di tutti gli obbligazionisti.
Con la riforma del Mes, invece, per ristrutturare il debito pubblico di uno stato della comunità sarà sufficiente una sola votazione dell’assemblea degli obbligazionisti. In questo modo il processo di ristrutturazione (riduzione del debito o allungamento delle scadenze o riduzione degli interessi) sarebbe più rapido. Purtroppo per l’Italia questo scenario non è molto probabile in quanto circa 500 miliardi dei titoli sovrani italiani sono detenuti da banche del nostro paese. Ovvio pensare che le stesse costituirebbero un probabile impedimento all’accordo. Inoltre anche un’ipotesi di riduzione dell’incidenza nel tempo delle banche italiane nell’ammontare globale del debito pubblico rappresenterebbe un chiaro messaggio negativo al mercato, con la conseguenza probabile di eventuali mancate sottoscrizioni di investitori esteri o di innalzamento dei tassi.
Un ultimo aspetto da analizzare riguarda la “struttura e le regole di voto”. Sono presenti nell’articolo 4 del trattato e possono essere così sintetizzate:

  • le decisioni vengono prese dal consiglio dei governatori e dal consiglio di amministrazione e sono adottate di comune accordo, a maggioranza qualificata o a  maggioranza semplice. Per tutte le decisioni è necessaria la presenza di un quorum di due terzi dei membri aventi diritto di voto che rappresentino almeno i due terzi dei diritti di voto;
  • l’adozione di una decisione di comune accordo richiede l’unanimità dei membri partecipanti alla votazione. Le astensioni non ostano all’adozione di una decisione di comune accordo;
  • una procedura di votazione d’urgenza richiede una maggioranza qualificata dell’85% dei voti espressi;
  • l’adozione di una decisione a maggioranza qualificata richiede l’80% dei voti espressi; mentre l’adozione di una decisione a maggioranza semplice richiede la maggioranza dei voti espressi;
  • il numero dei diritti di voto di ciascun membro del MES è pari al numero di quote assegnate a tale membro a valere sul totale di capitale versato. L’Italia detiene circa il 17% delle quote e quindi può senza alcun dubbio con questa struttura di voto esercitare una forte influenza, specie nel caso di decisioni d’urgenza.

Per concludere, devo dire che queste norme possono essere interpretate in modo bivalente per l’Italia. In fondo siamo tra i maggiori contributori e quindi queste regole costituiscono una garanzia del capitale che abbiamo versato; viceversa in caso di necessità possono rappresentare una limitazione della nostra sovranità.
Forse dopo 27 anni la comunità europea, prima di discutere del Mes, dovrebbe rivedere i parametri economici che governano i rapporti interni.

Dott. Angelo Di Marco

Organizzativo Konsumer Italia