MIGRANTI: il colpevole ritardo dell’Europa

migranti Italia Europa

tra esigenze di protezione e sicurezza

L’esame di un caso concreto consente di comprendere cosa sta succedendo in Europa e specialmente in Italia in relazione alle politiche in atto sui migranti e sui richiedenti asilo.
Un migrante arriva in Italia e presenta domanda di protezione internazionale ai sensi del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 dichiarando di scappare da un paese in guerra o dove è in atto una persecuzione; a seguito di tale domanda il migrante ha accesso alle misure di accoglienza secondo le norme del decreto legislativo stesso presso una struttura gestita da una Cooperativa Sociale vincitrice di un appalto. L’indirizzo del centro al quale viene assegnato il migrante costituisce il luogo di domicilio valevole agli effetti della notifica e delle comunicazioni degli atti relativi al procedimento di esame della domanda di protezione, nonché di ogni altro atto relativo alle procedure di trattenimento o di accoglienza previste dalla legge.
Nel caso specifico, l’Ufficio Immigrazione della Questura emette una nota con la quale segnala che il migrante è stato deferito in stato di libertà all’Autorità Giudiziaria per il reato di cui all’art. 712 c.p.. Il Prefetto (come organo sul territorio del Ministero dell’Interno) rilevato che “il comportamento di cui si è reso responsabile il migrante, che integra la fattispecie prevista dall’art. 23, comma 1, lett. e) del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, è incompatibile con la convivenza in comunità” e “visto l’art. 4, primo comma, secondo periodo, del decreto luogotenenziale 7 settembre 1945, n. 545” DISPONE la revoca della misura di accoglienza nei confronti del migrante.
Il migrante in questione viene quindi buttato fuori dal centro e perde in un colpo solo un tetto, un borsellino di € 2,50, il cibo e l’assistenza sanitaria. A questo punto un posto letto si è liberato nella cooperativa per un altro migrante mentre quello buttato fuori diventa un problema della società perché si trasforma in fantasma vivendo ai margini della società in uno stato di illegalità. Il migrante che nel caso specifico si era reso responsabile di un piccolo reato – un’incauto acquisto per aver comprato al mercato nero dei telefonini, poi risultati rubati, ed aver cercato di rivenderli – si rivolge al TAR (sul gratuito patrocinio disposto per legge è meglio stendere un velo pietoso). Quindi il migrante è stato sbattuto fuori per un reato di poco conto perché se avesse commesso qualcosa di grave verrebbe collocato in un centro quasi simile ad un carcere. Da un punto di vista penale, nel caso che stiamo descrivendo, il migrante potrebbe facilmente risolvere il suo problema facendo applicazione dei seguenti istituti:
– con il pagamento dell’oblazione prevista dall’art. 162 bis c.p. il reato si estingue essendo punito con pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda;
– il reo potrebbe anche chiedere, in ipotesi, di essere messo alla prova (istituto che comporta ugualmente l’estinzione del reato);
– il migrante potrebbe beneficiare dell’istituto della particolare tenuità del fatto e vedersi archiviata la posizione a suo carico.
Pertanto, nel caso di cui si sta discutendo, è lo stesso Stato che ha previsto una ipotesi lieve di reato che non può rappresentare un ostacolo alla permanenza in comunità del ricorrente il quale in attesa di vedersi riconosciuto lo Stato di profugo (il procedimento è ancora pendente) rischia di non avere un luogo dove dormire e soprattutto il cibo e l’assistenza di cui ha bisogno ogni essere umano.
Il migrante (che parla solo inglese) oltre a non conoscere la lingua italiana e la legge dello Stato italiano non ha nemmeno violato le regole che poteva conoscere una volta accolto all’interno della comunità gestita dalla Cooperativa. Infatti, dalle INTERNAL RULES AND COMPACT (le regole) redatte integralmente in inglese e sottoscritte dal ricorrente non risulta che il migrante abbia portato all’interno della comunità o usato droga, farmaci o alcool (casi specificamente previsti come gravi violazioni delle regole).
Lo stesso è a dirsi con le regole appositamente sottoscritte dal migrante a proposito dell’INDIVIDUAL PACT.
Rivolgendosi al TAR il migrante dunque fa valere l’incongruenza della motivazione di revoca della misura di accoglienza del decreto prefettizio impugnato. Il Prefetto infatti sostiene che il migrante ha violato l’art. 23, comma 1, lett. e) del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 come indicato nella motivazione del decreto prefettizio impugnato.
L’art. 23 citato, nel regolare i casi in cui con decreto motivato è consentita la revoca delle condizioni di accoglienza dispone tuttavia al comma 1, lett. e) che la violazione delle regole delle strutture in cui e’ accolto il richiedente deve essere grave o ripetuta compreso il danneggiamento doloso di beni mobili o immobili, ovvero comportamenti gravemente violenti.
Nel caso concreto che si sta esaminando (e ce ne sono migliaia in Italia) si è documentato che non v’è stata alcuna violazione delle regole imposte dalla struttura, che il ricorrente non ha danneggiato dolosamente alcun bene e, infine, non ha adottato comportamenti gravemente violenti. Nè il ricorrente ha introdotto o fatto uso di alcool o droghe. Ed infatti se il migrante fosse stato pericoloso lo Stato non si sarebbe limitato a mandarlo fuori dall’alloggio nella disponibilità della cooperativa sociale ma lo avrebbe dovuto rinchiudere nelle speciali strutture previste dal successivo art. 6 comma 2 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142.
Dinnanzi al TAR vengono quindi sollevate questioni relative alla violazione di legge ed eccesso di potere.
Il TAR in un primo momento accoglie la richiesta del migrante e sospende l’atto di revoca delle misure di accoglienza scrivendo nel decreto: “le censure formulate dal ricorrente non sembrano manifestamente infondate o pretestuose, fatte salve le valutazioni collegiali circa la riconducibilità del comportamento contestato allo straniero alla violazione grave delle regole della struttura di cui all’art. 23, primo comma lett. e), D. Lgs. 142/15 e in ordine alla possibilità di sindacare in sede di giurisdizione di legittimità la valutazione dell’Autorità amministrativa di considerare grave la condotta accertata ai fini della revoca delle misure di accoglienza”. Il migrante dunque rientra provvisoriamente nel centro e ritrova sia il tetto che i pasti caldi. Tuttavia quindici giorni dopo lo stesso TAR, a seguito dello svolgimento dell’udienza, respinge la domanda cautelare con una motivazione stringata con la quale sostiene che :”il comportamento rilevante ai fini della revoca della misura di accoglienza non può ritenersi limitato alle violazioni gravi e ripetute dei vincoli assunti dall’interessato riferiti alla stessa struttura di accoglienza, posto che il rispetto delle regole della convivenza sociale “esterne” alla struttura costituisce la base ed il presupposto per poter sia ammettere che per poter conservare la posizione protettiva assunta in favore del richiedente asilo”. Tradotto in parole semplice il TAR sostiene che il potere esecutivo ha la massima discrezionalità amministrativa e può fare quello che vuole, giudicando grave qualsiasi cosa, anche quando esiste il chiaro articolo 23, comma 1, lett. e) del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 che in ogni caso delimita tale potere discrezionale consentendolo solo su fatti gravi.
Pertanto viene sostenuto il fatto che il migrante può essere mandato fuori dal centro di accolgienza ma non viene né espulso né accompagnato nel suo paese d’origine diventando a tutti gli effetti un problema della società e cioè nostro di noi cittadini.
A questo punto è possibile fare un primo bilancio di come funzionano le cose in Italiaed in Europa. Il migrante di cui stiamo parlando non è considerato pericoloso e quindi non è attualmente “detenuto” in un centro speciale; non è nemmeno “protetto” perché è stato sbattuto fuori dal centro di accoglienza; ma allora che cos’è diventato in questo momento? È un fantasma che vivrà di espedienti poiché ha un permesso di soggiorno semestrale in vigore (sino a scadenza) ed è in attesa di una decisione per stabilire se è ha diritto alla protezione internazionale. Nel frattempo è libero di circolare per l’Europa .
Ma cosa dice la normativa sui migranti? L’Italia la rispetta? L’Europa la rispetta?
A seguito delle modifiche operate dal trattato di Lisbona, l’attuale assetto dell’ordinamento giuridico dell’Unione prevede il “Trattato sull’Unione europea” (derivante dalla modifica del TUE creato dal trattato di Maastricht ed il “Trattato sul funzionamento dell’Unione europea” (derivante dalla riforma del TCE). Per quanto sia generalmente possibile rintracciare un carattere di maggior tecnicità e specificità nel TFUE, i trattati, nel loro art. 1, prevedono che entrambi abbiamo il medesimo valore giuridico, condiviso anche con i protocolli ad essi allegati, costituendo dunque il vertice gerarchico dell’ordinamento dell’Unione europea.
Gli articoli 79 e 80 del TFUE permettono di risalire ad alcuni concetti fondamentali: l’Unione mira a instaurare un approccio equilibrato per trattare la migrazione legale e per contrastare l’immigrazione illegale. La corretta gestione dei flussi migratori comporta anche la garanzia di un trattamento equo dei cittadini di paesi terzi che soggiornano legalmente negli Stati membri, il rafforzamento delle misure di lotta all’immigrazione clandestina e la promozione di una cooperazione più stretta con i paesi terzi in tutti i settori. L’Unione si prefigge di sviluppare un livello uniforme di diritti e doveri per gli immigrati legali, paragonabile a quello dei cittadini europei. In base al trattato di Lisbona, le politiche d’immigrazione sono governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario (articolo 80 TFUE).
Emerge quindi nei trattati che si fa riferimento ad una politica unitaria in materia di accoglienza di migranti definiti LEGALI di cui si specificano i seguenti concetti:
Migrazione legale: spetta all’Unione la competenza di definire le condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di paesi terzi che entrano e soggiornano legalmente in uno degli Stati membri, anche a fini di ricongiungimento familiare. Gli Stati membri conservano la facoltà di stabilire i tassi di ammissione di persone provenienti da paesi terzi in cerca di lavoro.
Integrazione: l’Unione può fornire incentivi e sostegno a favore di misure adottate dagli Stati membri al fine di promuovere l’integrazione di cittadini di paesi terzi che soggiornano legalmente nel paese; tuttavia, non è prevista alcuna armonizzazione degli ordinamenti e delle regolamentazioni degli Stati membri.
Lotta all’immigrazione clandestina: l’UE deve prevenire e ridurre l’immigrazione irregolare, in particolare attraverso un’efficace politica di rimpatrio, nel rispetto assoluto dei diritti fondamentali. Un immigrato in situazione di irregolarità è una persona che entra nell’Unione senza autorizzazioni o visto adeguati o che si trattiene dopo la scadenza del visto.
Accordi di riammissione: l’UE ha la competenza di stipulare accordi con paesi terzi ai fini della riammissione nel paese di origine o di transito di cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni di ingresso, presenza o soggiorno in uno degli Stati membri.
Quindi in teoria e sulla carta i trattati sono ben scritti e prevedono una politica di competenza comunitaria per la gestione dei flussi migratori e dell’integrazione dei migranti legalmente accettati dall’Europa. Tutto si è poi complicato, sempre per semplificare, sia per la guerra in Siria e l’aggressione alla Libia che di fatto, creandone le condizioni di instabilità politica, ha trasformato il paese a noi vicino in un ponte verso l’Italia. A complicare ulteriormente le cose ci si è messa la Convenzione di Dublino. La Convenzione sulla determinazione dello stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli stati membri delle Comunità Europee, comunemente conosciuta come Convenzione di Dublino, è un trattato internazionale multilaterale in tema di diritto di asilo.
Il corrispondente regolamento di Dublino (quello che obbliga lo Stato membro a prendere le impronte ai clandestini) formalmente chiamato “Regolamento UE n. 604/2013” oppure Regolamento di Dublino III è un regolamento dell’Unione Europea, che stabilisce “i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione)”, nell’ambito della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e la relativa direttiva UE. Lo Stato membro competente all’esame della domanda d’asilo sarà lo Stato in cui il richiedente asilo ha fatto il proprio ingresso nell’Unione Europea. Uno degli obiettivi principali del regolamento di Dublino è impedire ai richiedenti asilo di presentare domande in più Stati membri (cosiddetto asylum shopping). Un altro obiettivo è quello di ridurre il numero di richiedenti asilo “in orbita”, che sono trasportati da Stato membro a Stato membro. Tuttavia, poiché il primo paese di arrivo è incaricato di trattare la domanda, questo mette una pressione eccessiva sui settori di confine, dove gli Stati sono spesso meno in grado di offrire sostegno e protezione ai richiedenti asilo. Tale sistema di gestione dei richiedenti asilo impedisce di fatto i diritti legali e il benessere personale dei richiedenti asilo, compreso il diritto a un equo esame della loro domanda d’asilo e, ove riconosciuto, a una protezione effettiva. Esso conduce inoltre a una distribuzione ineguale delle richieste d’asilo tra gli Stati membri. L’applicazione del regolamento può seriamente ritardare la presentazione delle domande e può sfociare in richieste d’asilo che non vengono mai prese in considerazione. Le cause di preoccupazione includono anche l’uso della detenzione per il trasferimento dei richiedenti asilo da parte dello Stato in cui fanno domanda allo stato ritenuto competente (cosiddetto Dublin transfer), la separazione delle famiglie e la negazione di una effettiva possibilità di ricorso contro i trasferimenti, e la non corretta gestione dei minori non accompagnati. Il sistema di Dublino aumenta inoltre la pressione sulle regioni di confine esterno dell’UE, dove la maggioranza dei richiedenti asilo entrano nell’UE e in cui gli stati sono spesso meno in grado di offrire sostegno per l’asilo e la protezione dei richiedenti.
Il regolamento è stato criticato anche dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa in quanto non in grado di garantire i diritti dei rifugiati. Ai sensi del regolamento di Dublino, se una persona che aveva presentato istanza di asilo in un paese dell’UE attraversa illegalmente le frontiere in un altro paese, deve essere restituita al primo stato.
Quindi una prima conclusione è intuibile. L’Europa e’ palesemente in ritardo sull’applicazione della stessa normativa che si è data per l’accoglienza dei soli migranti “legali” da distinguere da coloro che in qualità di rifugiati e/o profughi hanno diritto ad ottenere asilo o protezione internazionale. Un sistema efficiente dovrebbe permettere in pochi mesi di stabilire chi abbia il diritto di restare in Europa con lo status di persona che fugge da guerre e persecuzioni e chi debba essere rimpatriato in quanto migrante illegale. Un sistema efficiente avrebbe già adottato una politica unitaria di accoglienza di “migranti legali”.
Invece assistiamo impotenti al business dell’accoglienza (lautamente pagata dallo Stato) del migrante il quale quando viene espulso dal centro (per liberare il posto ad un altro migrtante sovvenzionato dallo Stato) diventa un fantasma che vive di espedienti e quindi un problema sociale accollato alla comunità. A ciò si aggiunga che gli appalti per la gestione dei migranti sono troppo generici. Infatti non solo la valutazione della qualità delle cooperative che partecipano agli appalti non è prevista, ma anche quantità e standard dei servizi da erogare lasciano ampissimi spazi di interpretazione a chi si aggiudica l’appalto. Ad esempio: i soggetti gestori devono provvedere all’alfabetizzazione in lingua italiana? Assistiamo ai fenomeni più disparati. Da chi semplicemente invia le persone ai Centri territoriali di educazione permanente (già pagati con risorse pubbliche), a chi organizza corsi presso la propria sede, a chi non li prevede affatto. Va erogata assistenza legale, per preparare chi ha fatto richiesta di protezione al colloquio con la Commissione Territoriale? In che termini, in che quantità? Pagata da chi? Rientra nel capitolato d’appalto? Da come gli enti gestori rispondono a questa domanda dipende la reale possibilità del richiedente asilo di vedere accolta la propria richiesta, o di vederla rigettata. Se l’amministrazione pubblica stabilisce un prezzo fisso pro-capite per l’assistenza ai richiedenti asilo e dei rifugiati, senza definirne precisamente i contenuti, ne consegue automaticamente l’incentivo al risparmio da parte dei soggetti gestori. Ciò si traduce in un incentivo alla cialtroneria. Avremo quindi strutture gestite bene e strutture gestite male e per il migrante sarà come partecipare ad una lotteria. Ciò è ben spiegato da Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia che affronta un nodo centrale nel sistema d’accoglienza dei richiedenti asilo e dei flussi migratori in generale, nel nostro Paese: “Si elencano le prestazioni da fornire, ma in rari casi si specificano gli standard minimi, le quantità da erogare, le competenze degli operatori impiegati”. Eppure basterebbe solo prendere esempio da altre esperienze in ambito sociale, sanitario ed educativo (asili nido e centri per gli anziani) degli ultimi quindici anni dove abbiamo assistito a un progressivo affinamento e a un’evoluzione delle procedure di appalto, nell’interesse pubblico generale di una maggiore qualità per gli utenti anche se ancora si dà troppa preminenza ai ribassi a discapito della qualità.
Quindi il tema della gestione dei migranti è talmente complesso che varrebbe la pena spiegarlo meglio al cittadino per evitare che sui social network si assista a prese di posizioni radicali per carenza di informazione.
Avv. Orlando Navarra
KONSUMER ITALIA – diritti umani