Riflessioni sugli anziani deceduti per Covid-19 nelle RSA

In Italia il Coronavirus ha fatto strage degli anziani, soprattutto si quelli ricoverati nelle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali), dove si sono registrati migliaia di contagi e di decessi, al punto da diventare un caso finito sulle prime pagine dei giornali.

I numeri restano ancora un mistero. Si dice, sulla base di dati parziali, che sarebbero morte ben più di 10,.000 persone.

È la Lombardia la Regione in cui si sarebbero registrati i primi casi. A Mediglia e Melegnamo, dove ben 97 anziani ospiti di due RSA hanno perso la vita a causa del COVID-19; il caso più eclatante è però quello del Pio Albergo Trivulzio, che ha il triste primato di ben 300 decessi.

Ma, se questa è cronaca, c’è da chiedersi se i familiari degli anziani deceduti abbiano la possibilità di ottenere un ristoro delle proprie sofferenze, quanto meno sotto forma di un risarcimento pecuniario.

Ci rendiamo conto che il denaro non può colmare la perdita di un familiare, ma è questa una domanda da porsi da un punto di vista giuridico.

A parere di chi scrive, sotto il profilo risarcitorio, gli eredi delle vittime possono procedere anche solo in sede civile e la questione va affrontata analizzando la responsabilità per deficit organizzativo della struttura e conseguente danno da infezione nosocomiale.

Con tale termine si intendono generalmente infezioni insorte nel corso di un ricovero ospedaliero, non manifeste clinicamente né in incubazione al momento dell’ingresso e che si rendono evidenti dopo 48 ore o più dal ricovero, nonché quelle successive alla dimissione, ma causalmente riferibili, per tempo di incubazione, agente eziologico e modalità di trasmissione al ricovero medesimo. Tali infezioni sono un problema particolarmente critico per la medicina moderna, a causa della loro elevata frequenza e difficile evitabilità, nonostante siano prevedibili, nonché a causa delle loro conseguenze, spesso gravi. Ciò con evidenti ricadute anche in termini di contenzioso giudiziario a titolo di richieste di risarcimento del danno patito, letteralmente esploso negli ultimi anni.

E proprio questo è il caso nostro, perché il Coronavirus costituisce sicuramente un’infezione nosocomiale e una RSA deve essere equiparata, sotto questo profilo, ad una struttura ospedaliera.

La materia è regolata dalla legge 24/2017 (Gelli-Bianco), l’art. 1 della quale prevede che i servizi sanitari devono essere erogati dalla Struttura in piena sicurezza, con la conseguenza che la stessa deve ritenersi responsabile ai sensi dell’art. 1218 c.c. per tutti quei fatti o eventi eziologicamente riconducibili a fenomeni di disorganizzazione, tra i quali, appunto quello, delle infezioni nosocomiali, quali appunto quelle da COVID-19

La legge Gelli ha sancito in capo alle strutture una responsabilità contrattuale, con conseguente prescrizione in 10 anni del diritto al risarcimento e con notevole vantaggio per il danneggiato sotto il profilo dell’onere probatorio. L’attore deve, infatti, provare soltanto:
1. Avere concluso il contratto con la R.S.A.;
2. Essere stato infettato da COVID-19 durante il ricovero (prova sicuramente agevole se il soggetto infettato fosse già da tempo ricoverato nella struttura, rappresentando l’unico possibile luogo dell’infezione)
3. Sussistenza del nesso causale fra l’infezione e il danno/morte secondo il principio giuridico del “più probabile che non”.

Sarà, invece, onere della struttura provare il corretto e diligente adempimento, dando la prova liberatoria della imprevedibilità ed inevitabilità dell’infezione.  Onere sicuramente complesso in caso di infezioni di questo tipo Questo innanzitutto a causa delle caratteristiche proprie di quelle nosocomiali, che per loro natura rendono quasi impossibile risalire all’effettivo responsabile della stessa. La RSA in tal senso dovrà dimostrare di aver adottato un modello organizzativo finalizzato ad evitare o ridurre il rischio di insorgenza di questo tipo di infezioni, ovvero dimostrare la loro inevitabilità. Sul punto, la giurisprudenza e la ratio della riforma stessa giocano un ruolo decisivo. L’adozione di specifici modelli organizzativi finalizzati alla riduzione dei rischi, che pone così rilevanza alla prevenzione e costituisce la prova liberatoria del diligente adempimento delle obbligazioni scaturenti dal contratto atipico di spedalità, pone al centro del sistema il tema della gestione del rischio ospedaliero.

Assumerà valore decisivo la dimostrazione da parte della R.S.A. di aver tenuto un comportamento conforme a tutta una serie di circolari e direttive del Ministero della Salute riguardanti norme tecniche al fine di evitare il diffondersi del coronavirus che, laddove non fossero rispettate, potrebbero comportare l’insorgenza della responsabilità della R.S.A. (da valutarsi caso per caso).

E dovranno, in ogni caso, valutarsi gli strumenti di protezione concretamente posti in essere dalla struttura, i meccanismi e modelli organizzativi, adottati al fine di prevenire il diffondersi del virus nella struttura stessa. È infatti da dimostrare che l’epidemia e il contagio all’interno degli ospedali fossero eventi del tutto imprevedibili e inevitabili, specie nel momento in cui la diffusione del virus era ormai divenuta nota alle autorità sanitarie.

 La responsabilità in capo alle RSA si configura, insomma, come di tipo  generalmente omissivo, per non essere avere posto in essere misure adeguate al fine di evitare il contagio all’interno della stessa, ad esempio mediante appositi strumenti di isolamento.

            Sulla base di quanto fin qui esposto, appare evidente che chi ha avuto un genitore deceduto in una RSDA a causa del COVID-19 ha ottime possibilità di ottenere il ristoro del pregiudizio patito. Ma quali danni? Sicuramente quelli subiti dall’anziano, tra i quali quello biologico, derivante dalla perdita della propria vita. Danno, questo che può essere chiesto dagli eredi.

            Vi sono poi quelli morali, invocabili da chiunque avesse un rapporto affettivo con il compianto

            C’è, a questo punto, da chiedersi come procedere. Deve agirsi nelle forme previste dall’art. 8 legge 24/2017, il quale prevede che chi intende esercitare davanti al Giudice Civile un’azione di risarcimento danni derivante da responsabilità sanitaria sia tenuto preliminarmente a proporre un ricorso ai sensi dell’art. 696 bis c.p.c. per instaurare una consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite. Il Giudice, una volta depositato il ricorso, provvederà a nominare un medico legale e un medico specializzato nella disciplina oggetto della controversia; a questa consulenza dovranno partecipare sia le parti in causa ma anche la compagnia assicurativa della R.S.A., con l’obbligo di formulare l’offerta risarcitoria ovvero i motivi per cui si ritiene di non doverla formulare.

           

Giovanni Franchi