Timido aumento dell’inflazione, segnale positivo o no?

I prezzi crescono del +0,6%: perché, secondo gli economisti, può essere un segnale di ripresa

Alessandra Schofield
Nella puntata di Siamo noi del 14 marzo, su Tv2000, è stato affrontato un tema molto importante per i cittadini italiani (come i numerosi messaggi pervenuti in redazione hanno confermato): il costo della vita ed il potere d’acquisto dei consumatori.
È proprio di questi giorni la diffusione dei dati Istati sui prezzi al consumo (alimentari, elettricità, acqua, costi per l’abitazione, prima necessità, combustibili, servizi sanitari, trasporti etc.) che appaiono in aumento – dello 0,6% – mentre stipendi e pensioni non vedono incrementi. I cittadini/consumatori vivono un momento di grande difficoltà ed incertezza, eppure gli esperti rassicurano: l’aumento dell’inflazione rappresenta un segnale positivo. Per contribuire a fare chiarezza sull’argomento, alla puntata hanno partecipato Adriano Bonafede, giornalista di Repubblica esperto di economia, l’economista Fabio Verna, il presidente di Konsumer Italia Fabrizio Premuti ed Eleonora Selvi di FederAnziani.
Adriano Bonafede e Fabio Verna hanno spiegato il concetto con chiarezza. Quando l’aumento generalizzato dei prezzi di beni e servizi – ovvero, l’inflazione – è basso, o “strisciante” (cioè compreso tra il 2% ed il 3%), si considera un fatto positivo perché costituisce il primo segnale che l’economia ha ripreso a marciare. Al contrario, la deflazione vissuta negli ultimi mesi sia in Italia che, in parte, anche in Europa, è un fatto negativo in quanto segnale di un’economia in contrazione. Può sembrare una contraddizione, perché i prezzi in discesa dovrebbero corrispondere ad un maggiore potere d’acquisto per i consumatori; ma se la deflazione significa in effetti per il singolo cittadino avere qualche euro in più a disposizione, vuol dire anche che le aziende non producono, non vendono e quindi chiudono. Lo scorso anno, in Italia – ha ricordato Verna – hanno chiuso 100.000 imprese, con un rilevantissimo danno occupazionale. Quindi questo ritorno ad un approccio inflattivo vuol dire un aumento prudenziale della fiducia dei consumatori nel sistema-Paese. 
D’altro canto, hanno sottolineato gli esperti e lo stesso Premuti, l’attuale tasso di inflazione è influenzato principalmente dall’aumento del petrolio e dei prodotti agricoli, la cui filiera è stata penalizzata dalle condizioni metereologiche dell’inverno appena trascorso. È presto, quindi, per dare spazio ad un eccessivo ottimismo perché – come ha evidenziato Premuti – non è tanto un’economia che si sta muovendo, quanto un’economia che sta reagendo ad aumenti di prezzi ben individuati e non corrispondono a quell’aumento dei consumi che tutti vorremmo e ci aspetteremmo in un Paese vivace e proiettato verso il futuro.
A chi esprime preoccupazione perché all’aumento dei prezzi non corrisponde un adeguamento di pensioni e stipendi, gli esperti rispondono che l’attuale incremento dello 0,6% incide in maniera veramente minima sulla capacità economica dei cittadini: considerando, ad esempio, un introito di 500 €, parliamo di una perdita del potere di acquisto di 3 euro. 
È chiaro però che, su un reddito molto basso, anche un piccolo importo assume significato. Ed attualmente i cittadini a basso reddito sono moltissimi. Fabrizio Premuti lo ha ricordato: in Italia si contano 4 milioni e mezzo di poveri, cioè di persone che non riescono a fare la spesa, a cui si debbono aggiungere altri 9 milioni di soggetti che arrivano faticosamente a fine mese. 
I soggetti più penalizzati sono certamente gli anziani ed i disoccupati. 
6 mln di pensionati (il 38%) – ha spiegato Selva – vivono con meno di 1000 € al mese; oltre 2 mln vivono con meno di 500 € al mese. La crisi riguarda principalmente gli over 65 che vivono da soli e nel circa 22% dei casi si trovano a rischio di povertà o addirittura in condizioni di gravi privazioni materiali e non possono quindi far fronte ad una spesa imprevista, non si possono permettere tutti i giorni un pasto completo o una visita medica (circa il 13% degli anziani) o l’adeguato riscaldamento di casa. Sulle pensioni – ha dichiarato Verna –non si deve abbattere l’aliquota: non devono essere tassate del tutto, perché si tratta di denaro accantonato dal cittadino quando ancora lavorava, e quindi già tassato.
Ma è la disoccupazione la vera ed urgente piaga di questo Paese, che ha pesantissime ripercussioni non solo economiche, ma anche sociali. Il problema del lavoro è gravissimo “perché è vero che il pensionato soffre, ma il giovane che si sente penalizzato perde la voglia di competere. Noi abbiamo tantissimi giovani che sono disoccupati ma che non cercano lavoro” ha osservato Verna.
In questo quadro si colloca il recente provvedimento – detto di “inclusione sociale” – che prevede un assegno mensile tra i 400 € ed i 480 €. All’estero esiste già da anni un sostegno reale ai cittadini davvero meno abbienti ed è un dispositivo che può essere di aiuto sotto due aspetti fondamentali, secondo Fabio Verna. Non sentirsi abbandonati dallo Stato, dal sistema, è già umanamente un passaggio molto importante. I beneficiari del provvedimento vedranno poi aumentare la loro capacità di spesa; si tratta di somme complessivamente importanti che entrano in un circuito che deve diventare virtuoso. 
Ma serve una strategia di base, che rilanci l’occupazione e riduca l’imposizione fiscale. Occorre, in definitiva, ridurre lo scollamento che si è creato tra la politica ed il mondo reale.