(Valigia Blu) Le Olimpiadi oltre le gare: diritti LGBTQ+, salute mentale, questioni di genere, lotta contro il razzismo e una grande lezione di umanità e sportività

10 Agosto 2021

di Roberta Aiello

 

Cosa ricorderemo delle Olimpiadi 2020? Cosa ci hanno raccontato oltre ai record superati, ai podi conquistati, ai volti felici e a quelli delusi? Quali messaggi sono stati trasmessi, quali immagini hanno catturato la nostra attenzione e curiosità?

Quello che è certo è che atlete e atleti si sono fatti promotori di temi a loro molto cari, consapevoli di potersi rivolgere a una platea sconfinata. Le Olimpiadi offrono un’opportunità senza dubbio straordinaria. E alcuni l’hanno colta.

Diritti LGTBQ+, salute mentale, questioni di genere, lotta contro il razzismo e una grande lezione di umanità e sportività. La XXXII edizione dei Giochi Olimpici è stata anche questo. O, forse, soprattutto.

Atlete e atleti di tutto il mondo sono stati immortalati in momenti in cui hanno espresso attraverso gesti e parole i loro pensieri, le loro opinioni, punti di forza e fragilità, o nei quali hanno mostrato gentilezza e rispetto gli uni verso gli altri, celebrandosi, incitandosi, sostenendosi.

Naomi Osaka

Le Olimpiadi di Tokyo sono iniziate con un’immagine di forte impatto. Naomi Osaka ultima tedofora che accende il braciere nel corso della cerimonia di apertura nello Stadio Olimpico della capitale. Mai a tennista era stato dato il privilegio di dare il via ai Giochi. Di padre haitiano e madre nipponica, Osaka è una sportiva di fama internazionale, attualmente numero 2 della classifica mondiale.

 

Solo qualche mese prima la 23enne giapponese aveva comunicato il ritiro sia dall’Open di Francia, il Roland Garros, che da Wimbledon, due dei quattro tornei del Grande Slam. La campionessa ha poi spiegato in un articolo pubblicato su Time di avere difficoltà nel relazionarsi con i media a causa di sintomi depressivi e per questo di aver bisogno di tempo per occuparsi della propria salute mentale.

«Non lo auguro a nessuno e spero che si possano introdurre misure a protezione degli atleti, soprattutto di quelli più fragili», ha detto, suggerendo la possibilità di concedere agli sportivi, in qualche occasione, di prendersi una pausa da interviste e conferenze stampa senza dover incorrere in sanzioni severe, come accaduto a lei a Parigi.

Osaka, che è molto impegnata nel sociale essendosi schierata apertamente a favore del movimento Black Lives Matter e della campagna contro l’odio verso gli asiatici, ha perso al terzo turno del torneo olimpico a cui partecipava per la prima volta, sconfitta dalla numero 42 del mondo, la ceca Marketa Vondrousova.

«Sono delusa da ogni sconfitta, ma questa è peggiore delle altre», ha detto la tennista che sperava di vincere l’oro a casa sua.

 

«So che le aspettative erano molto alte. Sento di non aver avuto una mentalità all’altezza perché davvero non so come far fronte a questo tipo di pressione, per cui posso dire di aver dato il meglio di me stessa in una situazione come questa», ha rivelato a cuore aperto.

 

Simone Biles

Nell’elenco delle atlete e degli atleti più attesi all’Olimpiade di Tokyo c’era la ginnasta americana Simone Biles. Tutti speravano che riuscisse a eguagliare il bottino di cinque medaglie conquistate alle Olimpiadi di Rio 2016.

La consapevolezza di avere gli occhi del mondo puntati addosso ha convinto Biles a fermarsi dopo un errore del tutto inaspettato – durante la prova del corpo libero, nel corso della manche di qualificazione della gara all-around a squadre – e un esercizio al volteggio, eseguito in finale, non all’altezza delle sue capacità.

 

A confermare di non essere riuscita a reggere la pressione è stata la stessa Biles con un post su Instagram.

“Non è stata una giornata facile, né una delle migliori, ma l’ho superata. A volte sento davvero il peso del mondo sulle spalle. So di spazzarlo via e di far sembrare che la pressione non mi influenzi, ma accidenti a volte è proprio difficile! Le Olimpiadi non sono uno scherzo! Ma sono felice che i miei familiari abbiano avuto la possibilità di starmi accanto virtualmente. Sono tutto per me!”.

La ginnasta 24enne si è ritirata da quasi tutte le competizioni per un problema di natura mentale, come ha spiegato nel corso della conferenza stampa successiva alla vittoria della medaglia d’argento della squadra statunitense.

«Devo fare ciò che è giusto per me e concentrarmi sulla mia salute mentale, senza metterla a repentaglio insieme al mio benessere», ha detto in lacrime, aggiungendo di stare combattendo contro i “demoni che ho in testa” alludendo ai ‘twisties’, gli improvvisi vuoti mentali che causano la perdita dell’orientamento nell’esecuzione di esercizi aerei.

Ciononostante l’atleta ha continuato ad allenarsi lontano dai riflettori nella palestra dell’Università di Juntendo, non molto distante da Tokyo, per provare a ritrovare tranquillità, condizione fisica e mentale. Ricominciando in pratica tutto daccapo.

 

Fino alla vittoria del bronzo alla trave conquistato a una settimana dal ritiro.

Durante la conferenza stampa che si è svolta dopo la competizione, Biles ha riflettuto ad alta voce sul suo periodo complicato: «È stata una settimana molto lunga, cinque anni molto lunghi», ha confessato. «Non mi aspettavo di vincere, volevo solo salire sulla trave per me. Ed è quello che ho fatto».

La campionessa ha inoltre rivelato di aver da poco appreso che c’era stato un lutto in famiglia.

«Due giorni fa mia zia è morta improvvisamente ed è stato qualcosa di totalmente inaspettato. Quindi, in fin dei conti, tutti dovrebbero essere un po’ più consapevoli di quello che dicono sui social, perché non si ha idea di cosa si vive quando si gareggia», ha detto Biles rivolgendosi a chi l’ha criticata.

 

La ginnasta ha avuto anche parole di profonda riconoscenza verso chi l’ha sostenuta.

“Le mie seconde Olimpiadi non sono andate affatto come immaginavo o sognavo, ma ho avuto la fortuna di rappresentare gli Stati Uniti”, ha scritto in un post su Instagram. “Apprezzerò per sempre questa esperienza olimpica che è unica. Grazie a tutti per l’amore e il supporto infiniti. Vi sono davvero grata”.

Nel 2018, nel pieno dell’esplosione del movimento #MeToo, la pluricampionessa olimpica aveva denunciato con un tweet di essere tra le oltre 260 vittime di abusi sessuali dell’ex medico della nazionale di ginnastica Usa, Larry Nassar, condannato a 175 anni di carcere.

Jacob Hoyle, Curtis McDowald e Yeisser Ramirez

Per protestare contro i presunti abusi sessuali commessi da un compagno di squadra tre spadisti statunitensi si sono presentati alle gare indossando una mascherina rosa.

Sulla pedana, prima di iniziare la competizione, Jacob Hoyle, Curtis McDowald e Yeisser Ramirez hanno espresso disappunto per la presenza del quarto componente del team – loro riserva – Alen Hadzic, accusato da tre schermitrici di molestie sessuali per fatti risalenti tra il 2013 e il 2015.

Lo scorso 2 giugno Hadzic era stato sospeso dalla squadra salvo poi rientrare dopo aver vinto un ricorso che ha stabilito che la sospensione era “inappropriata rispetto alle accuse” e che la sua partecipazione non avrebbe creato nessun danno alla reputazione degli Stati Uniti o alla scherma, dandogli nuovamente la possibilità di essere incluso nella spedizione olimpica

La Federazione statunitense della scherma ha però informato Hadzic che i suoi compagni di squadra avevano “espresso preoccupazione per la loro sicurezza e la loro serenità a causa della sua presenza”. Per questo motivo lo spadista è arrivato a Tokyo separatamente, non ha avuto la possibilità di alloggiare nel Villaggio Olimpico, soggiornando in albergo, e ha potuto lasciare il Giappone soltanto due giorni dopo la partenza dei propri compagni.

La vincitrice della medaglia di bronzo nella sciabola femminile alle Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016, Ibtihaj Muhammad, ha commentato la vicenda complimentandosi su Twitter con i tre spadisti per aver preso posizione pubblicamente.

 

Charlotte e Laura Tremble

Il femminicidio è stato il tema della coreografia proposta nel programma tecnico dalle gemelle francesi del nuoto sincronizzato Charlotte e Laura Tremble.

«Volevamo proporre un tema forte, con Charlotte siamo coinvolte in tante cause, per noi era importante nuotare con il cuore esprimendo i valori in cui crediamo», ha raccontato Laura a L’Équipe. «Ci siamo documentate, ci siamo ispirate ad alcune coreografie che sono state create su questo tema, nella danza in particolare. Ci siamo anche confrontate molto con la nostra allenatrice durante il lockdown».

A inizio luglio il Comitato olimpico internazionale (CIO) ha approvato le linee guida per l’applicazione della Regola 50.2 della Carta Olimpica che dà la possibilità ad atlete ed atleti di esprimere opinioni su questioni politiche e sociali in determinati contesti: nelle zone “miste”, incluse le sale stampa – quando si incontrano i media al termine delle gare –, nel corso di interviste e conferenze stampa, durante le riunioni di squadra, sui media tradizionali e digitali, sui social media e anche sul campo di gara prima dell’inizio della competizione o durante la presentazione del singolo atleta o della squadra a condizione che qualunque espressione rispetti una serie di vincoli al fine di preservare il principio della neutralità dello sport sancito nell’articolo 50. Rimane assolutamente vietato esprimere opinioni anche con gesti sul podio o durante le gare.

Il giorno dell’apertura delle Olimpiadi più di 150 tra accademici, sostenitori dei diritti civili e dei diritti umani e sportivi del presente e del passato, tra cui Tommie Smith e John Carlos la cui protesta alle Olimpiadi del 1968 è diventata un simbolo del movimento per i diritti civili degli afroamericani, hanno sottoscritto una lettera esortando il CIO a modificare la Regola 50 e sollecitandolo ad astenersi dall’imporre sanzioni alle atlete e agli atleti che avrebbero protestato e manifestato durante i Giochi di Tokyo.

Luciana Alvarado

Per evitare quindi di subire provvedimenti e sanzioni Luciana Alvarado, la prima ginnasta del Costa Rica a partecipare alle Olimpiadi, per rendere omaggio al movimento Black Lives Matter si è inginocchiata e ha alzato un pugno verso l’alto solo al termine dell’esecuzione dell’esercizio a corpo libero.

 

Alvarado ha detto ad Associated Press (AP) che si è trattato di un gesto voluto per onorare le proteste di massa che si sono svolte nel 2020 a seguito dell’omicidio di George Floyd. L’atleta diciottenne ha anche aggiunto di averlo fatto per sottolineare l’importanza della parità dei diritti su un palcoscenico internazionale “perché siamo tutti uguali e tutti meravigliosi e incredibili”.

Nazionali femminili di calcio

Come Luciana Alvarado diverse squadre di calcio femminili si sono inginocchiate per protestare contro il razzismo. Lo hanno fatto la compagine inglese, quella cilena, la nazionale svedese e quella americana.

«È un’opportunità di continuare a usare le nostre voci per parlare di cose che ci riguardano intimamente in maniera diversa», ha detto il capitano degli Stati Uniti Megan Rapinoe rispondendo a una domanda sulla possibilità di utilizzare un evento di portata planetaria per inviare messaggi su temi sociali a una platea vastissima.

 

«Incoraggio tutti a sfruttare questa possibilità al meglio delle proprie capacità per dare il massimo, soprattutto perché gli occhi del mondo saranno puntati su Tokyo nelle prossime due settimane», aveva detto Rapinoe al termine della partita di esordio.

 

Le Matildas – le giocatrici della squadra di calcio australiana, soprannominate così con riferimento alla canzone Waltzing Matilda, una sorta di “inno nazionale non ufficiale” dell’Australia – di cui fanno parte due donne indigene, hanno invece scelto di scendere in campo mostrando la bandiera aborigena e non quella nazionale.

Ginnaste dell’Azerbaigian

Invece di indossare i caratteristici body tutti strass e lustrini le ginnaste dalla squadra di ritmica dell’Azerbaigian si sono presentate in gara vestite completamente di nero.

 

Un membro dello staff ha spiegato che l’intento era attirare l’attenzione sulla situazione in cui versa il paese che sta vivendo una grave crisi umanitaria a causa del conflitto con l’Armenia per il controllo della regione di Nagorno-Karabakh che ha provocato migliaia di vittime.

Raven Saunders

La protesta della vincitrice della medaglia d’argento di getto del peso Raven Saunders – che ha alzato e incrociato le braccia con i pugni rivolti verso l’alto formando una X sul podio al momento delle foto dopo essere stata premiata – è stata oggetto di un’indagine avviata dal CIO poi chiusa in seguito alla morte della madre dell’atleta.

25 anni, americana del South Carolina, Saunders, membro della comunità LGBTQ+, ha spiegato a NBC che in quel modo ha voluto rappresentare “l’incrocio dove si incontrano tutte le persone oppresse”.

 

Un gesto significativo per Saunders che ha vissuto povertà e depressione fino a prendere in considerazione il suicidio tre anni fa – nel momento in cui aveva già raggiunto il successo – da cui è scampata grazie all’aiuto di un terapeuta che è immediatamente intervenuto dopo una sua richiesta di aiuto.

L’atleta si è chiesta più volte se le Olimpiadi, che più di ogni altro evento dovrebbero celebrare la diversità in modo universale ma che spesso fanno fatica a essere all’altezza di quella missione, potessero riservare un posto a una persona come lei. Ha deciso comunque di cogliere l’opportunità e di rivendicare quel posto. Nello stesso contesto in cui Naomi Osaka e Simone Biles hanno raccontato la loro verità, Saunders ha voluto condividere la sua.

«Essere me stessa. Non dovermi più scusare», ha risposto quando le è stato chiesto quale fosse il suo obiettivo. «Mostrare ai giovani che non importa come gli altri vogliono che tu sia, che puoi essere te stesso e accettarlo».

«Il mio messaggio è continuare a combattere, continuare a insistere, continuare a cercare valore in se stessi e in tutto ciò che si fa», ha proseguito Saunders.

Grazie al suo esempio e al suo impegno nel promuovere l’importanza della salute mentale ragazze e ragazzi della sua comunità hanno deciso di rivolgersi a dei terapisti.

Tom Daley

Nel corso dei Giochi sono diventate virali le immagini del campione olimpico Tom Daley, medaglia d’oro nei tuffi sincronizzati dalla piattaforma dei dieci metri in coppia con Matty Lee e medaglia di bronzo nei tuffi individuali dalla piattaforma dei dieci metri, impegnato a lavorare ai ferri in tribuna mentre assiste alla finale del trampolino femminile dai tre metri.

 

Nel corso di un’intervista rilasciata a BBC Sport un anno fa Daley ha confessato che insieme a yoga e visualizzazione lavorare all’uncinetto e a maglia lo aiuta a vivere più serenamente.

«Fa parte della mia routine di consapevolezza, un modo per fuggire da tutto per un po’», aveva spiegato.

Dopo aver vinto la medaglia di bronzo nei tuffi dalla piattaforma dei dieci metri alle Olimpiadi di Londra 2012, Daley ha avuto un crollo emotivo per la morte del padre avvenuta un anno prima a causa di un tumore al cervello.

«Tutta la mia vita era stata pianificata in vista di Londra 2012 e quando è finito tutto ho avuto un forte crollo perché è stato allora che ho realizzato la morte di mio padre», ha raccontato, spiegando di aver considerato in quel periodo l’ipotesi di abbandonare lo sport.

Il legame con l’attuale marito e la paternità hanno aiutato il 27enne britannico di Plymouth a reagire e a proseguire la sua brillante carriera.

Daley ha una pagina Instagram, intitolata “Made with love by Tom Daley”, dedicata ai lavori che realizza e il cui ricavato è destinato alla ricerca sui tumori al cervello. Dopo i trionfi di Tokyo e le foto diffuse sui social l’account ha superato 1 milione e 300mila follower.

Laurel Hubbard e Quinn

La sollevatrice di pesi Laurel Hubbard non ha mai cercato le luci della ribalta che inevitabilmente si sono accese in quanto prima atleta transgender a competere alle Olimpiadi.

La 43enne neozelandese è stata per tutto il tempo della sua permanenza a Tokyo al centro dell’attenzione. Alla fine non è riuscita a completare nessuno dei tre sollevamenti ed è stata subito eliminata.

Alla fine tornare a casa a mani vuote si è rivelato un aspetto secondario rispetto all’opportunità di essere se stessa su un palcoscenico così importante.

«Tutto quello che ho sempre voluto è essere me stessa», ha detto a Time. «Sono molto grata per aver avuto questa opportunità».

 

«Questo tipo di situazioni sono sempre piuttosto difficili per me perché, come alcuni sanno, non ho mai praticato lo sport per cercare pubblicità o visibilità», ha spiegato Hubbard. «E se da un lato riconosco che la mia partecipazione può essere interessante per alcuni, dall’altro non vedo l’ora che arrivi la fine del mio viaggio come atleta e dell’attenzione che ne consegue».

I Giochi di Tokyo sono i primi ad aver visto la partecipazione di atlete e atleti dichiaratamente transgender.

Nel 2004 il CIO ha autorizzato per la prima volta la loro partecipazione e nel 2015 ha aggiornato le linee guida che permettono la qualificazione.

Nel sollevamento pesi, le donne transgender devono dimostrare che il testosterone è al di sotto di un certo livello dopo che è avvenuta la transizione, un requisito che Hubbard ha soddisfatto.

Quinn, che ha giocato in questa edizione nella squadra di calcio femminile canadese, è la prima persona transgender/non binaria ad aver conquistato una medaglia d’oro alle Olimpiadi. Il successo è arrivato dopo la sconfitta della Svezia in finale.

 

Per tutta la durata del torneo olimpico ha mantenuto un profilo basso fino alla vittoria in semifinale contro gli Stati Uniti.

«Ricevere messaggi da giovani che ti dicono di non aver mai visto una persona trans nello sport ed essere quella persona spero li aiuti ad andare avanti con le loro attività, perché per me rappresenta la parte più entusiasmante della vita e quella che più mi dà gioia», ha detto al termine della semifinale. «Se in questo modo riesco ad aiutare i bambini a continuare a praticare lo sport che amano, questa è la mia missione ed è per questo che sono qui».

Sia a Quinn che a Hubbard sono stati indirizzati messaggi molto duri sui social e hanno ricevuto commenti fortemente negativi sui giornali.

«Ho cercato di non soffermarmi sulla risonanza o sulla percezione negativa, perché rende il lavoro ancora più difficile. È già abbastanza difficile sollevare un bilanciere. Se ci aggiungi ulteriore peso diventa un compito davvero impossibile», ha commentato Hubbard. «Una cosa che voglio dire è che spesso penso che sia la risonanza che la percezione negativa non si basano su alcun tipo di motivo o principio, ma piuttosto sull’emozione derivante dalla reazione delle persone che rispondono così per paura o disagio. Spero che col tempo si aprano a una visione più ampia».

Quinn e Hubbard fanno parte di un gruppo di almeno 182 atlete e atleti dichiaratamente queer che hanno partecipato ai Giochi di Tokyo. Un numero tre volte maggiore rispetto a quello che ha preso parte ai Giochi di Rio, secondo Outsports.

«Poter competere con i migliori al mondo rimanendo autenticamente me stesso nella manifestazione sportiva più importante a livello mondiale mostra dove siamo arrivati rispetto all’inclusione nello sport. Spero che partecipando a questi Giochi posso mostrare a tutta la comunità LGBTQ+ che siamo qui e che possiamo raggiungere qualsiasi obiettivo attraverso l’impegno», ha detto il nuotatore canadese Markus Thormeyer.

In questa edizione dei Giochi Olimpici, durante la quale sono stati inviati messaggi forti e autentici, non sono mancati gli atti di gentilezza che vanno oltre la competizione e mettono in luce l’umanità delle persone, al di là delle discipline e dei confini.

Kanoa Igarashi

Il giapponese Kanoa Igarashi sperava tanto di riuscire a conquistare l’oro olimpico nel surf, disciplina al suo debutto olimpico, vincendo in patria.

Invece è stato battuto dal brasiliano Italo Ferreira.

 

Nella conferenza stampa successiva alla premiazione il surfista nippo-americano – che avrebbe potuto restare legittimamente in silenzio dopo l’amarezza per non aver raggiunto l’obiettivo – ha dato una mano traducendo dal giapponese al portoghese le domande rivolte a Ferreira che si è trovato in difficoltà.

Isaiah Jewett e Nijel Amos

Sulla pista dello Stadio Olimpico dove si sono svolte le gare di atletica, durante una delle semifinali degli 800 metri, lo statunitense Isaiah Jewett e il nativo del Botswana Nijel Amos dopo essere inciampati l’uno nell’altro sono caduti. Una volta rialzati, dopo essersi aiutati a vicenda, si sono abbracciati e hanno terminato insieme la gara.

 

Lotte Miller

Al termine di una faticosissima gara di triathlon femminile la norvegese Lotte Miller, che si è piazzata 24esima, è andata a incoraggiare la collega belga Claire Michel, accasciata a terra in preda ai singhiozzi.

 

Michel era arrivata all’ultimo posto, 15 minuti dopo la vincitrice delle Bermuda Flora Duffy.

«Sei una dannata combattente», ha detto Miller a Michel. «Questo è lo spirito olimpico e tu ce l’hai al 100%»

Gianmarco Tamberi e Mutaz Esa Barshim

Ma la medaglia d’oro più bella conquistata sul podio e fuori se la sono aggiudicata Gianmarco Tamberi e il qatariota Mutaz Esa Barshim, con una storia che ha conquistato il mondo.

A conclusione della gara del salto in alto sia Barshim che Tamberi avevano superato i 2 metri e 37 senza commettere errori fino a quando non hanno provato a saltare i 2 metri e 39.

Da regolamento dopo aver fallito entrambi tre tentativi per determinare chi sarebbe salito sul gradino più alto i due atleti avrebbero potuto andare allo spareggio con un unico salto all’ultima altezza superata. In questo caso 2.37.

Se nessuno ci fosse riuscito, si sarebbe passati alla penultima.

Lo spareggio avrebbe potuto essere evitato se i due atleti si fossero accordati condividendo la medaglia più prestigiosa.

E così è andata.

«Possiamo averla entrambi?», ha chiesto Barshim.

 

Quando il giudice di gara ha annuito i due ragazzi sono esplosi di gioia.

«Io l’ho guardato, lui mi ha guardato e abbiamo deciso. Ci è bastato guardarci per decidere. Non c’è stato bisogno d’altro», ha raccontato Barshim.

«Gianmarco è uno dei miei migliori amici, non solo in pista, anche fuori. Ci alleniamo insieme. È un sogno che si realizza. Questo è il vero senso dello sport e insieme siamo qui a trasmetterlo».

E ha ragione.

I due atleti reduci dallo stesso, grave infortunio, sanno esattamente cosa significhi rialzarsi, perseverare, allenarsi duramente, crederci.

 

Nessuno più di loro può capire cosa abbiano attraversato negli ultimi anni per conquistare quella medaglia tanto sofferta e tanto voluta.

Nessuno più di Tamberi e Barshim conosce il valore e il significato di sforzi, sacrifici e speranze riposte.

E questo patrimonio hanno scelto di condividerlo con la persona che più di tutte può comprenderne il prezzo e celebrarne la felicità: il proprio avversario.

È questo il vero spirito olimpico.