Settembre è da sempre il mese di bilanci e buoni propositi. Soprattutto per i genitori, che si ritrovano davanti il lento riprendere delle attività scolastiche e la riorganizzazione familiare, in cui conciliare vita privata e impegni lavorativi.
Nel 2021, in Italia, sono nati 399.000 bambini e il numero di italiani con più di 75 anni ha superato, anche questa volta, quello dei minori di 12. Gli anni futuri vedranno un Paese che faticherà a crescere e in cui sarà complicato assicurare ai cittadini il welfare state.
Secondo le proiezioni dell’Istat se proseguiamo la tendenza attuale demografica nel 2050 ci saranno 5 milioni di italiani in meno e solo il 52% della popolazione sarà in età da lavoro, con il 16% sotto i 20 anni ed il 32% pensionati.
Inoltre la pandemia ha accentuato la distanza tra numero delle nascite e numero delle morti, non nascono i 2,2 bambini per donna che sono necessari a mantenere la popolazione in numero costante e in questo modo ogni anno perdiamo alcune migliaia di cittadini italiani.
Gli elementi che frenano la crescita della natalità sono molti: sicuramente la precarietà del lavoro e la lunghezza della gavetta professionale creano il paradosso di una giovane generazione che non può permettersi e non vuole fare figli quando è in età fertile e che quando più avanti con gli anni si è stabilizzata sul fronte del lavoro vorrebbe figli che non riesce più ad avere.
Inoltre i dati Istat mettono in luce una situazione relativa al livello medio di povertà familiare davvero allarmante: il 7,5% delle famiglie italiane è povero. Il tasso cala al 6% tra le persone sole e al 5% tra le famiglie di 2 persone. In presenza di 3 persone, sale al 7,1%. Con 4 persone al 11,6%. In famiglie con almeno 5 membri si arriva addirittura al 22,6%. Nello specifico, sono poveri il 13,2% dei bambini con meno di 3 anni, mentre tra quelli poco più grandi (fascia 4-6) l’incidenza raggiunge il 15,4%. In povertà assoluta anche il 14,9% dei residenti tra 7 e 13 anni e il 13,2% tra i 14 anni e la maggiore età.
Assegni familiari, detrazioni e adesso finalmente l’assegno unico universale purtroppo sembrano non bastare.
C’è poi da tenere in considerazione la posizione lavorativa della donna: in merito alla parità di genere, l’Italia si classifica al quattordicesimo posto tra i Paesi dell’Unione Europea, con un punteggio di 4,4 punti sotto la media. Le Ceo sono diminuite di un punto percentuale, attestandosi al 3%. Notizie negative anche sul fronte della natalità: -1,3% di nascite nel 2021, rispetto all’anno precedente.
Uno studio, che nasce da un’idea Silvia Sciorilli Borrelli, corrispondente a Milano per il Financial Times, ha provato a indagare le ragioni per le quali l’Italia è uno dei Paesi dell’Ocse con il più basso tasso di natalità. Il campione coinvolto dall’indagine ritiene, al 77%, che la società contemporanea ponga le donne di fronte a una scelta tra carriera e famiglia. Inoltre, il 64% delle intervistate pensa che avere figli in età giovanile sia un limite per carriera e guadagno, il 63% che avere figli sia un ostacolo in generale per il proprio sviluppo professionale e il 59% ha paura di comunicare una gravidanza ai propri superiori. Si noti che al 42% delle intervistate durante un colloquio di lavoro, sono state chieste informazioni rispetto all’intenzione di avere dei figli.
Di fronte a una situazione complessa, settembre resta il mese in cui dovrebbero riaprire le scuole, soprattutto per i bimbi della scuola dell’infanzia, che sono i più complicati da gestire. Eppure il sistema, sembra ignorare le difficoltà del Paese e se la prende con tutta calma: si comincia dopo la prima metà di settembre, a orario ridottissimo e poi ridotto. Si prende il pieno ritmo solo a ottobre. Le scuole restano chiuse dal 30 giugno per quasi tre mesi e questo sembra essere un problema solo della singola madre lavoratrice, che si arrabatterà tra ferie, congedo, permessi, pregherà i nonni, le babysitter e a caro prezzo i centri estivi.
Chi mai, farebbe figli, in questa situazione?
“Li fanno in pochi e tra questi la metà di loro dovranno sacrificarsi, come ben si capisce dalle persone che incontriamo quotidianamente” Aggiunge Fabrizio Premuti presidente di Konsumer italia “Orari delle scuole materne e dell’infanzia che non sono adattati alle esigenze delle mamme lavoratrici, scuole che sono già chiuse per periodi troppo lunghi, una giovane mamma lavoratrice può disporre di un certo numero di giorni di ferie ma non certo di 3 mesi, men che meno può permettersi il pagamento di una persona che attenda ai bisogni dei piccoli. È lo Stato che deve assolvere questo compito perché le giovani generazioni sono regali che le famiglie fanno allo Stato, al bene comune; serve quindi una immediata virata che vada incontro alle esigenze delle giovani mamme partendo direttamente dalle loro semplici parole senza il bisogno di pagare profumatamente grandi esperti che spesso non sono donne, non sono mamme, non sono giovani con stipendi al limite della fame.”