Innalzamento dei prezzi. Quali prodotti o generi alimentari guidano la classifica provvisoria del 2022?

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La situazione geo-politica corrente causata dal conflitto russo-ucraino – già precedentemente colpita dal periodo pandemico – e del sempre più crescente quesito energetico, hanno seriamente messo in dubbio la stabilita alimentare dell’intero pianeta. Dopo aver assistito a un aumento dei prezzi di oltre il 30% nel 2021, le stime prevedono una ulteriore crescita, fino a un +23% nel 2022. È evidente che l’aumento dei costi delle materie prime – carburante, elettricità e fertilizzanti in primis – stia facendo precipitare la situazione.

Dati alla mano, secondo l’indice dei prezzi alimentari dell’Organizzazione UN per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), è evidente come il settore alimentare più colpito risulti quello cerealicolo.

Il costo del riso, ad esempio, è in costante crescita da diversi mesi ormai, raggiungendo il picco nell’anno corrente. Nonostante la produzione di riso mondiale sia ancora abbondante – anche “grazie” all’utilizzo di colture OGM (come il Golden Rice coltivato in Asia) – nessun genere alimentare, cereale, prodotto lattiero-caseario, olio od ortaggio può ritenersi fuori pericolo. A discapito di un possibile aumento della domanda, bisogna sempre tenere conto del rischio di un possibile effetto “domino” che vede conseguentemente coinvolta tutta la filiera alimentare.

L’opinione comune vede puntare il dito nei confronti della politica aggressiva portata avanti da Putin. Entrando in conflitto con l’Ucraina, martoriando la popolazione e distruggendo il tessuto socio-economico del paese, la Russia ha conseguentemente causato il blocco delle esportazioni di un paese cruciale per la produzione mondiale di grano. Come di riflesso, altri grandi produttori cerealicoli come ila Cina o l’India, hanno iniziato ad attuare politiche protezionistiche; ma cercando di tutelare i propri interessi finiscono per aumentare la pressione sul prezzo a livello globale, con conseguente ricaduta sul comune consumatore, ignaro e confuso. Questo tipo di policies non hanno soltanto valore economico o geo-politico, ma rischiano di avere ripercussioni devastanti sotto il punto di vista della food security mondiale – e ovviamente – sulla vita di innumerevoli persone.

Prendendo in considerazione il concetto per il quale i rivenditori trasferiscono sui consumatori l’equivalente del 75% dell’aumento dei costi della produzione, le stime evidenziano come l’inflazione alimentare inciderà sulla spesa del consumatore europeo in media di 243 euro in più, per lo stesso paniere di prodotti alimentari rispetto al 2021. Analizzando questo maggior esborso, tra i Paesi presi in analisi, si stima che gli italiani, nel 2022, dovranno mettere a budget circa 230 euro in più per la spesa alimentare rispetto al 2021.

Osservando la situazione nel Vecchio Continente già a partire dal 2021, molti produttori di beni alimentari hanno già provveduto ad apportare rincari in media del +14%, con maggiori aumenti riscontrati soprattutto nei prodotti di uso quotidiano, inclusi oli e grassi (+53%), farine (+28%) e pasta. Quest’ultima, che a noi italiani ci riguarda da vicino, ha visto segnare il maggior incremento dal 2021 in Italia (ben il 13%), seguita da olio e ortaggi (entrambi attorno al 10%). Sotto la doppia cifra, troviamo in ordine, frutta, carne e bevande. Tendenza leggermente diversa per quella dei prezzi dei generi alimentari al dettaglio, che hanno registrato solo un modesto +6%; il che significa che i rivenditori hanno per ora trasferito meno della metà dei costi più alti di produzione sui consumatori finali.

Gli episodi passati dimostrano, infatti, che quando si registra un’elevata inflazione alimentare, l’adeguamento dei costi nei confronti del consumatore finale viene sempre dilazionato nel tempo. In poche parole, il peggio deve ancora arrivare.

Ciò che si prospetta è a dir poco scoraggiante, non solo per il consumatore finale ma essenzialmente per ogni attore della filiera alimentare. La tendenza comune è quella di credere che ogni incremento di prezzo sia in qualche modo collegato ad altri settori e nella società altamente globalizzata di oggi tutto è plausibile, ma ciò non giustifica ogni cosa. Ora più che mai è importante puntare sulla trasparenza dei mercati e su una maggiore vigilanza da parte delle Autorità competenti.

Al consumatore finale, che di tutta questa situazione ne accuserà il peso nei prossimi mesi, viene tranquillamente chiesto quindi di caricarsi – come al titano Atlante – il mondo sulle spalle.

Di fronte all’incertezza e al timore è facile perdere la ragione e l’orientamento, ma seppur drammatica questa situazione può nascondere un lato positivo. Nonostante i ritmi frenetici moderni, una chiave per risolvere questa situazione – almeno per quanto riguarda i prodotti ortofrutticoli – può risiedere nell’auto-produzione. Utilizzare aree spoglie o zone fertili a disposizione delle comunità cittadine, costruendo e organizzando una coscienza collettiva è possibile creare orti cittadini autogestiti protetti per coltivare ortaggi utili ad abbattere il costo totale della spesa che, giorno dopo giorno, grava sempre più sui consumatori e sull’economia delle famiglie. Se non si è propensi a collaborare con la comunità è sempre possibile utilizzare il proprio balcone o giardino come dispensa personale/familiare.

La moneta di scambio che il consumatore possiede ora è il tempo, il proprio tempo, da “commerciare” con se stessi e la comunità; per cercare di risparmiare energia, carburante, risorse e cibo, cercando di guardare al futuro con rinnovata fiducia.

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Riccardo M. Mazzoni

Responsabile Settore Agro-Alimentare ed Enologico | Konsumer Italia