La crudele agonia dei salmoni scozzesi

Come evidenziato da Sea Shepherd, una delle più grandi organizzazioni internazionali impegnata nella lotta per la conservazione e la tutela della biodiversità marina, è uscita recentemente una importante e sconvolgente inchiesta sull’industria scozzese del salmone.

L’indagine, condotta da CIWF (Compassion in World Farming) svela le brutali sofferenze dei pesci, numerose violazioni della regolamentazione sull’animal welfare e i conseguenti alti tassi di mortalità. L’inchiesta, realizzata ovviamente sotto copertura, ha prodotto uno scioccante report intitolato “Gabbie subacquee, parassiti e pesci morti: perché è necessaria una moratoria sull’espansione dell’allevamento dei salmoni in Scozia”, ed è stata diffusa da una rete internazionale di Ong in ben 30 paesi.

Il report mette in risalto la triste realtà di molti salmoni allevati in gabbie di acciaio collocate in mare aperto, per produrre ed esportare i famosi filetti, tranci e carpacci di salmone scozzese, spesso anche affumicati. In Italia l’investigazione è stata condivisa da svariate associazioni e organizzazioni come Animal Equality, Animalisti Italiani, Animal Law, Ciwf Italia Onlus, Enpa, Essere Animali, Jane Goodall Institute Italia, Marevivo, Sea Shepherd Italia ovviamente, ed ora anche da noi di Konsumer Italia, che non possiamo restare indifferenti su una tematica così sensibile.

Prendendo in considerazione subito alcuni dati, la Scozia si attesta come medaglia di bronzo nella produzione mondiale di salmone d’allevamento (circa 40 milioni di pesci allevati nel 2019), seguendo il sorprendente Cile e la sempre primatista Norvegia.

Con esportazioni in oltre 50 paesi, il governo scozzese ha già largamente dichiarato di voler sostenere un piano per la massiccia espansione dell’industria entro il 2030. L’Italia è fra i primi dieci importatori, e sugli scaffali dei nostri supermercati vicino ai reparti pescheria è molto facile imbattersi in almeno un prodotto confezionato dalle 5 regine dell’industria ittica scozzese: Cooke Aquaculture, Grieg Seafood, Mowi, Scottish Sea Farms e The Scottish Salmon Company; le quali detengono il 96% della produzione nazionale di salmone.

Tornando all’inchiesta, sappiamo che è stata condotta su più di 20 aziende, con filmati raccolti in diversi allevamenti scozzesi nell’autunno del 2020. Dopo aver esaminato le registrazioni, è evidente come larghe quantità di salmoni vivano in uno stato di scarso benessere, se non al limite dell’agonia addirittura.

Sono stati rilevati molteplici danni causati dai pidocchi di mare (Lepeophtheirus salmonis, parassita che vive sulla pelle del salmone), da alghe che crescevano proprio in quelle ferite aperte, danni alle branchie, alle pinne e alla mandibola, anemia, clamidia, abrasioni e lacerazioni diffuse. Ad alcuni pesci mancavano addirittura pezzi di carne, mostrando spesso anche stati avanzati di cancrena.

La CIWF ha ovviamente subito segnalato queste scoperte all’Animal and Plant Health Agency, ritenendo che le criticità si possono considerare una chiara violazione dell’Animal Health and Welfare Act del 2006. In due allevamenti è stata persino riscontrata la presenza di salmoni letargici che faticavano nella respirazione, a causa della pessima qualità e limpidezza dell’acqua, pesci con deformità della spina dorsale e alla pinna caudale. Nei casi più drammatici invece, i salmoni morti venivano lasciati galleggiare nelle gabbie per svariati giorni.

Il discorso sul benessere animale (altresì denominato animal welfare) è una tematica che deve iniziare a risuonare periodicamente nelle orecchie dei consumatori, perché come in questo caso – ma potrebbe accadere anche in un allevamento ovino o di pollame ad esempio – stiamo parlando della salute sia fisica che psichica degli animali.

E’ un obbligo morale, quello del futuro consumatore, domandarsi se il prodotto prelevato dallo scaffale
non provenga da allevamenti in cui questi standard (in ogni caso stabiliti per legge) vengano rispettati. Un ciclo di vita vissuto a pieno, nel rispetto stesso dell’animale, produrrà allo stesso tempo un prodotto finale destinato al consumo alimentare di livello indubbiamente superiore rispetto al frutto di una vita passata tra sofferenze e maltrattamenti.

Come anche affermato da Ali Tabrizi nello sconcertante documentario “Seaspiracy”, è triste pensare che il salmone, fiero animale e predatore marino capace di attraversare interi oceani soltanto per ritornarne nelle acque natie, sia ora costretto a sguazzare ammassato in circolo nelle proprie feci e in quelle dei suoi simili.

Ebbene, anche se fino a non molto tempo fa, era pratica comune considerare i pesci esseri viventi incapaci di esprimere emozioni, l’attuale stato delle cose non potrebbe essere più differente. Secondo lo studio “Cognitive appraisal of environmental stimuli induces emotionlike states in fish” pubblicato su Scientific Report da un pool di scienziati portoghesi, è stato messo in atto un esperimento con delle orate, capaci di dare chiare risposte fisiologiche qualora venissero sottoposte a stimoli negativi o positivi, differendo così al contempo anche diverse sfumature caratteriali dei vari pesci esaminati.

Continua a sussistere inoltre il perenne problema ambientale dovuto ai rifiuti organici e chimici costantemente riversati in mare, che stanno modificando profondamente la biodiversità marina. Con i sempre più incalzanti cambiamenti climatici (ed il conseguente innalzamento della temperatura media dell’acqua), si stanno svuotando i mari, i fiumi e i laghi di tutto il mondo, togliendo alle popolazioni locali le loro risorse ittiche.

L’acidificazione degli oceani, tema di assoluta rilevanza al giorno d’oggi, si verifica quando l’anidride carbonica si dissolve nell’oceano. Uno studio del Pacific Marine Environmental Laboratory condotto nel 2018 evidenzia come “i livelli di anidride carbonica disciolta stanno influenzando in modo sproporzionato il benessere dei pesci nelle acque settentrionali più fredde” e con i livelli di CO2 saturata sempre più crescente sono stati riscontrati “disorientamento e problemi cognitivi in alcune specie di pesci marini“, nonché maggiori livelli di stress, in particolare nel salmone, negli squali e nel merluzzo.

L’acidificazione dei mari, ma anche degli estuari marini e dei fiumi, dovuta all’assorbimento di carbonio (che in gran parte avviene attraverso il moto ondoso) sta indebolendo sia i pesci selvatici che quelli d’allevamento, contribuendo al rapido aumento dei tassi di estinzione delle specie marine, allo sbiancamento e morte delle barriere coralline (come nel Reef australiano) e alla “desertificazione” della vita marina.

Si stima che ciascun allevamento di salmoni scozzesi produca annualmente rifiuti organici equiparabili a quelli di una cittadina di 20.000 abitanti, e a sua volta la somma di escrementi prodotti da tutte le industrie ittiche della Scozia equivale alla massa organica di scarto prodotta dall’intera popolazione settentrionale dell’isola britannica.

Anche i medicinali e le sostanze chimiche utilizzate sui salmoni vengono poi rilasciate in mare, con danni collaterali per gli organismi marini e tutto l’ecosistema. Inoltre, l’allevamento di pesci carnivori come il salmone, è responsabile di gran parte della pesca industriale dei nostri oceani già sovra sfruttati. Milioni di tonnellate di pesce catturato in mare vengono poi ridotte a farina e olio di pesce per nutrire proprio i salmoni negli allevamenti intensivi.

In conclusione, l’industria ittica scozzese dell’allevamento di salmone presenta dunque gravi problemi sia di benessere animale che ambientali. CIWF ha scritto una lettera aperta al governo scozzese, chiedendo urgentemente una moratoria sull’espansione di questa industria. Ciò è urgente e necessario fino a quando non saranno messe in atto misure di controllo efficaci in grado di garantire il benessere del salmone d’allevamento e dei pesci pulitori, oltre che prevenire l’impatto negativo sull’ambiente e sulla biodiversità della Scozia e di tutto il Mare del Nord.

Bisogna sempre essere coscienti infine che lo sgargiante pesce rosato intenso che spesso amiamo mangiare crudo nei ristoranti asiatici o cotto alla griglia, in realtà altro non è che salmone – ormai impostato da decenni con le stesse pratiche di nutrizione – bombardato da mangimi potenziati con l’astaxantina (C40H52O4), colorante carotenoide rossoviolaceo; il quale conferisce il classico aspetto di apparente salute e integrità a cui ormai ogni consumatore è abituato.

Noi di Konsumer, come sempre, chiediamo ai consumatori di riservare sempre più attenzione nel momento dell’acquisto, informandosi non solo sulla provenienza del salmone, ma ove possibile anche sulle buone pratiche di animal welfare adottate dalle aziende produttrici, in modo tale da creare una triade felice tra il nostro palato, il benessere del pesce e la salvaguardia dei nostri mari.


Riccardo Maria Mazzoni
Responsabile Settore Agro-Alimentare ed Enologico | Konsumer Italia